La Responsabilità Amministrativa delle Aziende
Il D.Lgs. 231/01 introduce nell’ordinamento italiano la responsabilità “amministrativa” degli enti relativamente alla commissione di alcuni reati, specificamente indicati dal legislatore; permette quindi di colpire (con sanzioni pecuniarie, l’interdizione dall’attività, il commissariamento, il divieto a contrarre con la Pubblica Amministrazione) direttamente l’Ente e, quindi, l’interesse economico dei soci.
L’Ente, tuttavia, non risponde se dimostra di avere “adottato ed efficacemente attuato” un Modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione di reati della stessa fattispecie di quello verificatosi.
La concreta ed efficace adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire la commissione dei reati considerati dal D.Lgs.231/01 è dunque l’unica modalità con cui l’ente può difendersi dalle responsabilità e dalle sanzioni ivi previste. GESTA offre ai suoi Clienti, tramite il proprio gruppo di lavoro, composto da esperti in ambito legale, economico e sistemico, l’assistenza per tutte le fasi necessarie per definire e utilizzare il Modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal D.Lgs.231/2001.
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Il Decreto Legislativo 8 Giugno 2001, n. 231, introduce nell’ordinamento italiano un nuovo regime di “responsabilità” a carico degli enti derivante dalla commissione, o tentata commissione, di determinate fattispecie di reato, nell’interesse o a vantaggio degli enti stessi.
La “responsabilità amministrativa” prevista dal decreto consente di colpire il patrimonio degli enti, e quindi l’interesse economico dei soci, (direttamente tramite sanzioni pecuniarie, o indirettamente tramite, ad es., l’interdizione dall’esercizio dell’attività) che hanno tratto un vantaggio dalla commissione di determinati reati da parte delle persone fisiche che rappresentano l’ente o che operano per l’ente.
I reati per i quali l’Ente può essere chiamato a rispondere sono soltanto quelli espressamente indicati dal legislatore, e riguardano i seguenti ambiti:
- reati nei rapporti con la Pubblica Amministrazione
- delitti informatici e trattamento illecito di dati
- reati di falso nummario
- reati societari
- reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico
- reati contro la personalità individuale
- reati di abuso di mercato
- reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro
- ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita
- reati transnazionali
L’ente è responsabile se il reato è stato commesso a “suo interesse o a suo vantaggio” (D.Lgs. 231/01, art. 5, co. 1); non è pertanto necessario aver conseguito un “vantaggio” concreto, ma è sufficiente che vi fosse “l’interesse” a commettere il reato.
L’Ente tuttavia non risponde se dimostra di aver “adottato ed efficacemente attuato” un modello di organizzazione, gestione e controllo tale da prevenire la commissione dei reati della stessa fattispecie di quello verificatosi.
La valutazione della validità del Modello adottato e della sua efficace attuazione è formulata dal giudice in sede di accertamento penale (ovvero, la prova della solidità del modello si ha solo nel malaugurato caso di procedimento penale per uno dei reati considerati).
Le sanzioni previste dal Decreto a carico degli enti consistono in:
a) sanzioni interdittive (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrarre con la pubblica amministrazione; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi)
b) pubblicazione della sentenza di condanna (che può essere disposta in caso di applicazione di una sanzione interdittiva)
c) sanzione pecuniaria fino ad un massimo di Euro 1.549.370,69 e sequestro conservativo in sede cautelare (il “tetto” di 1.549.370,69 non si applica per i reati di cui all’art. 25-septies)
d) confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato (sequestro conservativo, in sede cautelare)